domenica 19 settembre 2010

Valentina?

Ero alle colonne con Andrea e Matteo quando d'un tratto io, la mia Lucky Strike e la mia Beck's, ci bloccammo. Era lei? Di sicuro era incredibilmente bella. "Hei, tutto bene?" chiede Matteo. Mi fissa, lo fisso. Indico con un cenno della testa il gruppetto di ragazze poco più in là. Si mette a ridere: "Sei troppo prevedibile, non dirmi che ti sei innamorato di nuovo sta sera, è la quarta volta!". Innamorarsi, innamorare, innamoramento. Si dice che Michelangelo vedesse nel blocco di marmo la scultura già ultimata. Ecco, io vedo in una ragazza, come fossero epifanie di Joyce, il nostro rapporto da fidanzati. Il nostro primo bacio. La nostra prima volta.
Io e Valentina, con i nostri trolley, che arriviamo all'Hilton di Budapest, in un week-end di fine gennaio, pausa dagli esami. E' il regalo che le ho fatto per Natale e compleanno, ormai è qualche mese che ci fequentiamo, mi sono svenato, ma ne valeva la pena. Una gran bella doppia, un gran bel fisico, avvolto in un gran bel completo intimo. "Room service!". Ecco che arriva una bottiglia di Dom perignon seguita da due flute...
"Oh, ma ci vai a parlare o no? Altrimenti vado io!". Ovviamente questo è Andrea. Raccolgo la provocazione. Tre metri. Susu, bello carico. Due metri. Sembra che i suoi capelli siano troppo neri per esser naturali. Un metro. "Hei, hai visto quei tre davanti al Rattazzo prima che si picchiavano?".Dopo un po' le porgo il mio cellulare. Vedo che inizia 3, 4, 9. "Sei Vodafone?" "Si certo, per l'infinity dici?" "Eh, si..". Ci mettiamo a ridere.
Torno dai ragazzi. "Allora?" all'unisono. "Allora domani sera ci vediamo, non si chiama proprio Valentina, ma va bene lo stesso, credo che continuerò a chiamarla Valentina."

martedì 14 settembre 2010

Rendetevene conto.

Matteo sta tagliando le patate per il secondo, Andrea perde tempo su Facebook. L’odore del soffritto sale verso il lampadario. Il menù è semplice: aperitivo con un bianco di Soave, tortillas e gazpacho, portata principale tagliata di lonza e patate al forno. Stranamente inizio a sparare a zero su tutti. Questo è senza personalità, quello mi sta sul cazzo. Andrea è il diplomatico. Andrea ha gli occhiali. Andrea è la persona più cazzara e responsabile al tempo stesso che abbia mai conosciuto. Matteo è buono. Matteo gentile, cucina lui. La cena è andata da dio, la compagnia è stata ancor migliore. Matteo e Andrea sono ormai la mia famiglia di Milano. Mi rendo conto di quanto siano importanti solo quando le cose mi vanno male. E ora, non vanno gran bene. E ora via, si va da un’altra lei.

sabato 11 settembre 2010

Arrivare è sempre bello.

Prendere la metropolitana alla fermata Duomo, a Milano, per me è sempre un gran casino. La linea rossa si interseca con la gialla. La fermata è gran incasinata, tunnel, tornelli. Ad esempio, anche in Centrale si intersecano due linee, la gialla e la verde, ma lì è molto più chiaro dove andare. Verde sinistra, gialla destra.

Mi sono sempre chiesto a cosa serva il distributore di biglietti ATM oltre i tornelli. Voglio dire: se ho passato i tornelli il biglietto ce l’ho già e se mi servisse il biglietto di ritorno, a rigor di logica l’avrei fatto quando ho fatto quello di andata, no?


Nei mezzi pubblici mi piace guardare le persone. Immaginare storie, personalità. Lanza, fermata Lanza. Quella potrebbe chiamarsi Valentina. Ha il viso da Valentina. Bel viso, occhi scuri, curatissima. Quando sono in metro con mio fratello, se sentiamo scossoni, frenate quasi improvvise e quant’altro, ci guardiamo e ci diciamo: “questo conducente dev’essere uno stagista…”. Sant’Agostino, fermata Sant’agostino. C’è pure Ernesto, dentro ad un abito vintage, ma non nel senso più fashion del termine. La mia domanda su di lui è una sola: che cosa diavolo se ne farà del secchio di vernice che ha con se? E poi, sono le nove di sera, perché mai porta un secchio di vernice? Phaaaaaaa. Romolo, fermata Romolo. Adoro il rumore della sirena di apertura porte, specialmente quella di Romolo, non che sia diversa dalle altre, ma è quella di dove vivo.


Dopo aver trascinato il mio trolley per qualche centinaio di metri, entro nella mia dimora.